A nord del centro urbano di Scicli si collocano la chiesa e l’annesso convento del Carmine, uno dei complessi più belli della cultura architettonica tardobarocca iblea. La chiesa, la sua facciata e l’ala orientale del convento sono stati progettati dall’architetto fra Alberto Maria di San Giovanni Battista, carmelitano della stretta osservanza, residente a Scicli nello stesso convento, come svela lo storico dell’arte Paolo Nifosì nel libro “Scicli una città barocca”, 1997, edizioni Il Giornale di Scicli.
La pianta della chiesa è composta di tre parti: il nartece biabsidato con ampio coro sovrastante, l’aula rettangolare con una successione di tre cappelle per parte, con altari marmorei policromi, l’abside semicircolare al centro della quale è posto un altare sempre in marmo. In una nicchia, sulla parete di fondo, si trova la statua con lamine d’argento della Madonna del Carmine, opera del 1760 di Francesco Castro. In cinque dei sei altari laterali si trovano le tele della Adorazione dei pastori (1737), dell’Annunciazione, della Trasfigurazione, due tele di Santi carmelitani, le ultime quattro da riferire agli anni Sessanta del Settecento, attribuite a Costantino Cacasi. Altre pitture, tutte del secondo Settecento, si trovano lungo le pareti della navata con i seguenti temi: La gloria di san Guglielmo, I quattro Evangelisti, La Madonna delle Milizie, Santo carmelitano, Rebecca, Rabano e Rachele, Il sacrificio di Mosè, Le anime del Purgatorio, L’allegoria della Pasqua, La Sacra Famiglia. Definisce lo spazio interno un raffinato ciclo di stucchi di Giovanni Gianforma.
La facciata, a tre ordini, è divisa in tre comparti da fasci di lesene. Nel comparto centrale un elegante portale mistilineo decorato da motivi fogliacei è sovrastato, nel secondo ordine, da un’aggettante trabeazione con timpano spezzato ad arco ribassato. Sette statue poste su piedistalli sporgenti dalla parete adornano la facciata. La cella campanaria non si trova sul prospetto, ma sul lato sinistro della chiesa, affiancato all’abside. Negli anni Quaranta del Settecento i padri decidono di ricostruire la chiesa, motivando il nuovo prospetto con la fragilità della vecchia fabbrica «non solo per le terribili scosse avute dà tremuoti, ma anche contro le buone regole perché da principio malamente formate dell’Architettura» ed ancora con la necessità di avere una chiesa più grande di quella che c’era.
In una relazione del 1752 leggiamo che per queste ragioni «i padri risolsero ripigliare l’edificio tempo fa principiato della nuova chiesa, ed in effetto l’anno ridotto a buon segno».
È sintomatico che a cinquant’anni di distanza dal terremoto del 1693 il terremoto è tenuto in gran conto.
Nel 1751 i capimastri Mario Mormina, Girolamo Iacitano e Pietro Cultraro si impegnano a «sfabricare quel edificio di prospetto che da presente esiste… pure li pilastri di suddetta chiesa nuova» per realizzare la nuova facciata secondo il disegno di fra Alberto Maria di San Giovanni Battista. I lavori dell’interno sono in gran parte ultimati nel 1764, quando ad opera del capomastro Vincenzo Pirré viene realizzata la volta finta e viene realizzato da Giovanni Gianforma «oriundus Urbis Panormi, habitator Civitatis Motucae» il ciclo di stucchi per il costo di onze 100.
Nel 1765 maestro Guglielmo Migliore realizza il pavimento con lastre bianche e nere. Nel 1768 si commissionano a Tommaso Privitera di Catania per il costo di 98 onze i sei altari rocaille in marmi policromi delle cappelle della navata. La consacrazione della nuova chiesa viene fatta dal vescovo di Siracusa, Giuseppe Antonio Requesenz. Nel 1778 viene costruito l’organo nuovo ad opera di Basilio La Marca Alfano «di quella grandezza ch’è è quello della Ven. insigne collegiata di Santa Maria La Nova» per il costo di 110 onze. Si riferiscono agli anni 1782-83 le belle cornici rococò delle cinque tele degli altari: quella del dipinto della SS. Annunciata è del palermitano Salvatore Rioli, mentre le altre quattro sono del palermitano Cristofaro Duvo e di Saverio Laboratore di Scicli. Non abbiamo fonti per il pulpito ligneo in noce e per la sedia del celebrante.
Già agli inizi del xix secolo le strutture murarie della parte absidale risultarono pericolanti. Fu necessario demolire tutta l’abside fino all’arcone trionfale, dando l’incarico di progettazione all’architetto camerale della Real Piazza Salvatore Alì per «riformare, restaurare, e ingrandire il Cappellone della chiesa secondo le buone regole dell’Architettura». Alì viene incaricato pure, per progettare la sagrestia, la scala a chiocciola del stesso campanile, e lo stesso campanile forse che ripete il disegno di quello campanile chiesa madre di San Matteo. L’Alì riprese e continuò per tutta l’abside ingrandita il motivo delle lesene addossate, realizzò due finestroni sopra il cornicione, ripetendo i modi stilistici della navata. Rifece «tutte le cornici …e l’ornati secondo il stile d’oggi il più grave» e tutti gli stucchi a «tenore di quelli della Nave».
Tutti gli stucchi, sia quelli del Gianforma, che quelli dell’Ali sono bianchi: va notato il disegno dei capitelli compositi con al centro delle volute testine femminili e due testine di personaggi biblici. La chiesa, nel suo assieme, ubbidisce ad un’unica cifra stilistica nel rapporto interno-esterno, caso molto raro nella storia dell’architettura iblea, con il contributo di tutte le arti nel definire uno spazio rococò.

Il Convento del Carmine
Le vicende del convento hanno tempi più lunghi e i caratteri stilistici sono differenziati in rapporto alle diverse fasi costruttive. Occupa un’area rettangolare intorno ad un cortile originariamente porticato su tutti e quattro i lati. Il prospetto principale, a est, presenta una successione di finestre delineate da esili modanature, con al centro un finestrone che riprende nel disegno quello del prospetto della chiesa. Conclude la facciata un cornicione comprendente metope con motivi fogliacei ed una balaustra leggera.
La facciata dell’ala nord non presenta particolari di rilievo all’infuori di due porte, di disegno manieristico. Nella facciata e – l’ala ovest, al centro, si trova un balcone sorretto da mensole con sculture di mascheroni e con uno stemma dell’ordine carmelitano al centro del timpano spezzato. Nel cortile, molto manomesso, permane un porticato sui due lati, mentre il portico nelle altre ali è stato murato. Al centro delle ali nord e sud i balconi sono sottolineati da lesene tuscaniche e timpani spezzati. La distribuzione degli spazi interni non è quella originaria, date le notevoli trasformazioni che l’edificio ha subito. Relativamente alla datazione e alla progettazione abbiamo la possibilità di datare l’ala est a partire dal 1775 su progetto di fra Alberto Maria di San Giovanni Battista. I lavori continueranno negli anni successivi (si registrano pagamenti nel 1777 nei confronti dei maestri Vincenzo e Antonino Pirré, padre e figlio). Riguardo ad altri interventi abbiamo la notizia relativa al refettorio nuovamente fatto tra il 1770 e il 1771 e tre date che le leggiamo nel cortile. La data 1724 è incisa nell’architrave del balcone centrale dell’ala nord; la data 1710 sull’architrave del balcone centrale dell’ala ovest e la data 1787 su quello dell’ala sud: queste date non sono, comunque, indicazioni certe delle fasi costruttive del convento. Quali le notizie sul convento e sulla chiesa prima del terremoto del 1693? La fondazione del convento sarebbe avvenuta nel 1368; inizialmente fu annesso alla chiesa di San Giacomo Interciso, titolo successivamente sostituito dal titolo di Santa Maria Annunziata. In una relazione del 1686, sette anni prima del terremoto si legge che nell’interno della chiesa vi si trovavano 23 altari, vi si conservavano due reliquie di Sant’Alberto, oltre le reliquie di Sant’Orsola e di Santa Margherita dei Pazzi. Vantava un bel campanile. Le cappelle più importanti avevano il patrocinio di famiglie dell’aristocrazia locale: la cappella dell’Immacolata Concezione era sotto il patrocinio della famiglia Arizzi; la cappella dell’Annunziata era patrocinata dalla famiglia Palermo, la cappella dell’Assunta dalla famiglia Maynetti (Manenti?); la cappella di San Carlo dalla famiglia Pisana; la cappella dell’Epifania era sotto il patrocinio della famiglia Celestri. Alla data del 1686 il convento «non è compiuto da tutti i lati, ma viene costruito a poco a poco. Ha due corpi (domicilia) molto ampi e molto belli, uno completato, formato da 18 celle, l’altro simile in ampiezza… ha tuttavia bisogno di un altro corpo, dove da una parte oltre al noviziato vi sono altre cinque celle». Ospita 24 religiosi.
Nel 1650 in un’altra relazione leggiamo: «È di struttura che circoisce centoundici canne. Forma quadrata, con claustro di sotto. Fatto con colonni di pietra ordinaria, vi sono tutti l’officini necesarii. Tiene un dormitorio di sopra con la… quale have cammari sidici, benfatti, et extra l’habitazione de dormitorio tiene nell’istesso claustro un baglio con giardino et diverse stanze». Il numero dei religiosi presenti è di 26. Da queste due fonti si evince che nel convento nel Seicento si registrano ampliamenti. Subito dopo il terremoto comincia la ricostruzione per assumere l’attuale fisionomia nella seconda metà del Settecento.